L'etologia, giudizio oggettivo sul benessere animale

L'etologia, giudizio oggettivo sul benessere animale

(Sintesi tratta, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 37-44)

Nel 1965, il Brambell Report elencava, con particolare riferimento agli animali allevati, le cosiddette "cinque libertà" necessarie per evitare disturbi al "benessere". Agli animali in allevamento si devono cioè concedere le libertà:
1) dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione;
2) di avere un ambiente fisico adeguato;
3) dal dolore, dalle ferite, dalle malattie;
4) di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifici normali;
5) dal timore.
Come si può notare le "cinque libertà" ricordano bene che il benessere degli animali dipende dal rispetto sia delle esigenze fisiologiche (mangiare, bere, ecc.) sia di quelle etologiche (le caratteristiche comportamentali).

Le indicazioni più autorevoli, per capire se un animale è in stato di sofferenza, ci sono state fornite dal "Congresso internazionale sul benessere dell'animale industriale" tenutosi in Gran Bretagna nel 1992; in quella sede il "Farm Animal Welfare Council" ha ampliato i concetti del Brambell Report. Purtroppo però, la realtà è ben lontana dal garantire le "5 libertà", come si può vedere confrontando le situazioni reali con i principi espressi.

La libertà dalla fame e dalla sete, con un facile accesso all'acqua e una dieta che mantenga piena salute e vigore, è totalmente in contrasto con il trattamento cui sono sottoposti i vitelli a carne bianca o le oche destinate alla produzione del paté di fegato.

Così lo spazio, che negli allevamenti industriali è sempre molto esiguo, mal si concilia con la libertà dal disagio e col diritto a un ambiente appropriato che includa un riparo e una confortevole area di riposo.

La libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie attraverso la prevenzione, rapide diagnosi e trattamenti, si scontra con il rifiuto della prevenzione che è scomoda e costosa ad ogni livello così come l'intervento medico-veterinario qualificato: in molte stalle moderne gli animali sono abbandonati per lunghe ore da soli.

La libertà di esprimere un comportamento normale, mettendo a disposizione spazio sufficiente, attrezzature appropriate e la compagnia di animali della stessa specie, è la libertà più violata negli allevamenti intensivi: i suini sul cemento non possono grufolare, le ovaiole in gabbia non possono razzolare e le vacche da latte non allattano il proprio vitello.

La libertà dalla paura e dall'angoscia, assicurando condizioni e trattamenti che evitino la sofferenza mentale, è negata dagli spazi di allevamento che rendono impossibile assecondare l'istinto alla fuga e dai ripetuti trasferimenti e trasporti molto stressanti (gli animali come primo istinto di fronte ad un pericolo, qual è per loro la presenza umana, cercano di allontanarsi di uno spazio sufficiente a dar loro sicurezza. Ad esempio: per i cani la distanza di sicurezza è di 6 metri mentre per i bovini è di 12).

Con l'osservazione si può rilevare che quando l'animale non sta "bene", secondo l'accezione citata, manifesta tutta una serie di comportamenti che si allontanano più o meno dalla norma, così, in relazione alla gravità della situazione in cui si trova, possiamo vedere atteggiamenti e gesti ripetuti, in maniera ossessiva, anche per ore, quali ben noti sono il girare in tondo nelle gabbie o il dilungarsi per molto tempo nella toelettatura, oppure comportamenti ridiretti, ovvero indirizzati in maniera diversa rispetto alla norma. Tra questi si possono rilevare ad esempio il leccare a lungo oggetti presenti nelle gabbie, oppure nel giocare con le sbarre o con altri oggetti che si trovano alla portata dell'animale, oppure vi può essere un aumento dell'aggressività e dell'eccitabilità, o ancora uno stato di abulia e di indifferenza all'ambiente circostante. L'insieme di questi atteggiamenti variati rispetto alla norma dice quanto l'animale sia stressato e quindi soffra della situazione in cui lo si costringe.

Determinato che l'etologia è lo strumento che ci fornisce il modo per giudicare del benessere e del malessere, occorre discutere su quali siano le professionalità che possono aspirare a farsi "giudici".

Finora si è sempre lasciata questa incombenza ai medici veterinari perché, conoscendo le condizioni di vita degli animali, erano stati identificati come coloro che potevano preoccuparsi anche del loro rispetto. In verità, la visione prevalente di questi professionisti era quella produttiva, per cui il veterinario interveniva a garantire la salute dell'animale, per salvare la resa produttiva, ma non il benessere. Con la terapia, infatti, si possono risolvere i problemi creati dal malessere, ad esempio lo stress da sovraffollamento, che viene risolto con somministrazione di presidi chimici; questi però curano le conseguenze, cercando di evitare i danni al produttore, non eliminano lo stress, e quindi il malessere dell'animale. Eliminare lo stress sarebbe possibile agendo sulle cause (e non sugli effetti), che discendono direttamente dai sistemi di allevamento; per migliorare veramente e alla radice il benessere sarebbe quindi necessario un intervento per migliorare le condizioni di vita.

Purtroppo, la specie umana è poco propensa ad accettare le esigenze altrui quando sono in contrasto con i propri interessi economici.

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